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Cina, la posta del cuore: se amarsi (talvolta) non basta

Di Silvia Conticelli Pubblicato Marzo 17, 2017

Ti rendi conto di essere una persona fortunata solo quando ti scontri, più o meno volontariamente, con realtà che credevi quantomeno in via di estinzione. Affermazione scontata, banale e a tratti melensa, ma incredibilmente vera.

Lo “scontro” questa volta si gioca su un terreno piuttosto spinoso, quello dell’idea di “coppia” nella cultura cinese, idea ancora fortemente plasmata dall’importanza attribuita alla “facciata”. Come tutto questo si traduca nella pratica è presto detto. Anzitutto, in particolare per il gentil sesso, l’avvicinarsi alla soglia dei venticinque è direttamente proporzionale alla pressione ricevuta da genitori e parentado, che va ben oltre la domanda retorica della nonna italiana media al pranzo di Natale (“Lo hai fatto il fidanzato?”, cit. con tanto di anacoluto grammaticale). Il marchio a sangue di “zitella” è dunque dietro l’angolo per la maggior parte delle ragazze che non posizionano il matrimonio in cima alla lista delle cose da fare prima di una certa età. Destino analogo per gli uomini, che hanno l’unica fortuna di poter scampare la misera aggettivazione di cui sopra solo perché il vocabolario italiano non ne fornisce la versione maschile.


I fortunati che riescono nell’ardua impresa di trovare la propria anima gemella con le giuste tempistiche devono tuttavia prestare particolare attenzione ad innamorarsi con criterio e senza colpi di testa. Partner cinesi sono preferiti, se non altamente consigliati, medesima estrazione sociale con conseguente adeguato conto in banca, e stessi valori (ovviamente le eccezioni illuminate esistono, ma temo che non siano quelle di cui stiamo parlando). Neppure la futuristica Hong Kong si distingue dal branco e pretende di godere del diritto di decidere che fidanzarsi con un personal trainer alla veneranda età di 21 anni non sia socialmente
conveniente. Sì, è una storia vera. Quello del personal trainer non solo non è un lavoro stabile, ma non assicura nemmeno i guadagni necessari per una vita agiata nella giungla isolana, specialmente se la ragazza in questione ha un grado di istruzione più elevato e un conseguente sorridente futuro lavorativo davanti a lei.


Se poi l’oggetto del desiderio del/della giovane cinese non ha gli occhi a mandorla, la questione assume fattezze ancora più complesse: la maggior parte dei genitori, senza distinzione di posizione sociale, reddito e grado di istruzione, non reggerebbe il colpo di vedere il proprio pargolo/a accanto ad una persona il cui background culturale non abbia nulla a che fare con quello dell’ex celeste impero. Culture troppo diverse, abitudini divergenti e minime differenze nel quotidiano, che potrebbero potenzialmente condurre al divorzio sul lungo periodo, alias la più grande vergogna per  la famiglia cinese tradizionale. Lungi da me affermare che problematiche di questo tipo siano del tutto scomparse nel Vecchio Continente, ma in Cina la forma mentis di cui sopra non solo è quella dominante, ma è l’unica socialmente accettata. 

“In Cina sposarsi non significa sposare una persona, ma una famiglia” sono le parole di V., mia amica e compagna di classe, durante una polifonica conversazione attorno al tavolo della mensa universitaria. La facciata conta, il giudizio altrui su di te e la tua famiglia ha un peso talmente determinante da poter forgiare il tuo ruolo nella società ed è per questo che la scelta di colui/colei con cui condividerai la tua vita futura (o almeno parte di essa) non è unicamente e necessariamente una scelta d’amore. È la convenienza sociale a farla da padrone. 

La società cinese in questo campo non è tuttora una società liquida, è ancorata all’idea confuciana di ordine necessario e di cieco rispetto delle ragnatele che intrappolano le proprie scelte, di quella pietà filiale che va oltre il giusto rispetto e sconfina nell’intraprendere la strada che i genitori scelgono per te. Ed ecco allora che per un figlio omosessuale un matrimonio eterosessuale di facciata sembra la soluzione migliore; ed ecco allora che sposare un/una cinese è il tuo dovere morale nei confronti dei genitori; ed ecco allora che non riesci ad essere coraggioso abbastanza da rompere il vetro della bolla in cui la tua cultura ti ha rinchiuso.

Il mio articolo non vuole e non deve avere pretese generalizzanti, né vuole esprimere un giudizio di superiorità della cultura cosiddetta “occidentale”. La mia è una semplice narrazione, una constatazione ragionata, che può godere di una certa dose di esperienza personale e che testimonia uno dei più radicati scontri culturali che ho trovato sulla mia strada in questo Paese. 

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Letto 9059 volte Ultima modifica il Giovedì, 16 Marzo 2017 17:37

Silvia Conticelli

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